Veglia Ecumenica 2018 - Tessere relazioni, costruire legami

Sara Comparetti

 

Che cosa abbiamo fatto, questa sera? Abbiamo camminato insieme. E insieme ci siamo messi in ascolto di questo nostro mondo e contemporaneamente della Parola che Dio rivolge all’umanità tutta.

Abbiamo camminato ed ascoltato. E lo abbiamo fatto insieme.

In fondo, la festa di Pentecoste consiste proprio in questo.

La prima Pentecoste, la festa ebraica di Shavuòt, fa memoria del dono della Torà, che Dio affida a Mosè perché sia come un faro, una guida per il popolo che cammina verso la terra promessa attraverso il deserto (Es. 20). Il futuro di Israele non consisteva soltanto nell’avere una propria terra, in cui poter vivere come persone libere. Uscire dall’Egitto vuol dire cambiare mentalità, sottrarsi alla logica del dominio del più forte, costruire legami nuovi , non più basati sulla forza e l’oppressione. Perché se nella terra promessa Israele avesse riprodotto l’oppressione subita in Egitto, allora voleva dire che era rimasta schiava dell’ideologia del faraone, della logica del più forte. Come recita un adagio ebraico: “non bastava che Israele uscisse dall’Egitto; bisognava che L’Egitto uscisse da Israele”. La Pentecoste ebraica, vissuta al Sinai, ha questa funzione: non subire più passivamente una realtà che è fatta di ingiustizie, di legami feriti; apriti, invece ad una logica differente, quella sognata da Dio per l’umanità e consegnata nelle parole della Scrittura.

Questo messaggio vale ancora oggi per tutti noi.

Ma anche la Pentecoste cristiana è cammino ed ascolto. Tra poco, riascolteremo il testo degli Atti degli apostoli che narra del dono dello Spirito Santo. E lo Spirito ci ricorda la Parola di Gesù (Giov. 14,26). Non a caso, Luca rappresenta lo Spirito come “lingue” di fuoco (At. 2,3). Lo Spirito dà vita ad una Parola che, altrimenti, si riduce a lettera morta (2Co. 3,6). E mette in cammino quei discepoli, in preda alla paura, chiusi nella loro cerchia.

Fino a quel momento le discepole ed i discepoli di Gesù avevano paura, si nascondevano, restavano nel chiuso delle loro camerette, a Pentecoste invece i discepoli e le discepole di Gesù diventano “quelli della via” (At. 9,2). Ovvero, persone che si mettono in gioco, lungo le strade del mondo, al seguito di Gesù, il Crocefisso risorto.

E’ Lui la Via che conduce alla Verità della Vita (Giov. 14,6).

E l’ecumenismo non è, forse, questo? Camminare ed ascoltare insieme, lasciando che lo Spirito dica alle nostre chiese cosa significhi vivere l’evangelo, oggi, in Italia.

Ogni chiesa lo ascolterà parlare nella sua propria lingua, con accenti e sottolineature differenti. Ma tutte saranno accomunate dal desiderio di “parlare delle grandi cose di Dio” (At. 2,11), del suo farsi carico di questa nostra umanità stanca e delusa, della tenacia dello Spirito nel tessere relazioni e costruire legami nuovi.

Certo, camminare al seguito del Signore, cercando di ascoltare le voci della storia e contemporaneamente quella delle Scritture, oggi, ci fa sembrare agli occhi di molti come degli “ubriachi” (At. 2,13).

Com’è differente il progetto di Dio, che ci ha creati a sua immagine e somiglianza (Gen. 1,26) e ci ha sognati come esseri in relazione, liberi e consapevoli (Gen. 2,18), rispetto dell’attuale sentire sociale di molti, alle affermazioni di supremazia , razziste ed individualiste.

Come sono opposti i muri che si innalzano un po’ dappertutto – e non solo quelli posti come confini di territori ma anche quelli piantati nei cuori umani, negli occhi e nelle menti di tanti nostri contemporanei – rispetto alle vie aperte dallo Spirito, che spinge i credenti ad andare fino agli estremi confini della terra non solo confini geografici, ma anche esistenziali.

Come è possibile sostenere e vivere il messaggio evangelico, in questo nostro tempo di derive identitarie? E come possiamo farlo, senza coltivare l’inimicizia per quanti perseguono, invece, progetti opposti?

Forse, la via aperta dal movimento ecumenico è il modello a cui possiamo continuare ad ispirarci. Perché anche noi cristiani abbiamo perseguito, per secoli, quel progetto individualista ed autoreferenziale che ci ha portati ad escludere l’altro.

Per secoli abbiamo pensato di bastare a noi stessi. Ogni chiesa cristiana ha pensato di bastare a se stessa. Ci siamo scomunicati a vicenda, perseguitati a vicenda, persino uccisi reciprocamente, in nome dello stesso Dio.

Siamo stati proprio noi a bloccare il cammino e a spegnere l’ascolto, chiudendoci in difesa ognuno delle proprie posizioni acquisite.

E poi, è avvenuto il miracolo dello Spirito, che ci ha fatto percepire non più le grida accusatorie ma una nuova sinfonia di voci. E’ lo Spirito che cura le ferite dei legami, che denuncia la fraternità tradita e riapre la via ad una comunione ritrovata. Grazie allo Spirito abbiamo capito, come chiese, che non bastiamo più a noi stesse, che dobbiamo metterci in ascolto l’una dell’altra, che affiché il messaggio dell’Evangelo sia credibile dobbiamo essere credibili noi, chiese, per prime e dobbiamo annunciarlo insieme, l’Evangelo.

Inoltre l’ esperienza dello Spirito, vissuta nel cammino ecumenico, non ha solo una valenza interna alle chiese. Non vale solo per i credenti. L’esperimento che stiamo vivendo tra credenti può risuonare nella nostra società e tradursi in un differente agire sociale. L’ecumenismo non è l’hobby di una minoranza che non ha altro di meglio da fare. E’ invece scommessa su un futuro diverso, sul mondo sognato da Dio per noi, verso cui lo Spirito ci muove, invitandoci a “partire da noi”, senza indulgere al lamento, ma lasciandoci riconciliare dallo Spirito di Gesù e ricostruendo insieme la casa comune. Camminiamo insieme, dunque. E insieme ascoltiamo i “segni dei tempi” (Mt. 16,3) e la Parola attestata

nelle Scritture. E’ solo lungo questa strada, suggerita dallo Spirito, che

possiamo diventare testimoni credibili dell’Evangelo. Moltiplichiamo, dunque, le occasioni di scambi e confronti ecumenici, così che non siano solo il vestito della festa ma un abito quotidiano, uno stile che caratterizza il nostro vivere la fede come un camminare insieme ed un ascoltare insieme.

Facciamolo con coraggio e con tenacia, senza vergognarcene, Facciamolo per amore del Dio di Gesù. Facciamolo per amore delle nostre chiese. Facciamolo per amore di questo nostro mondo.

Sara Comparetti
Presidente del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano