La storica visita di Bartolomeo I per i 1700 anni dell’Editto di Milano occasione per riflettere su tematiche di estrema attualità. L’opinione di Silvio Ferrari, docente di Diritto canonico e diritto ecclesiastico all’Università degli Studi
di Pino NARDI
«Il primo obbligo dello Stato è garantire la pluralità della società civile, intesa come possibilità di sviluppare i diversi progetti di vita di una persona o di un gruppo. Una società civile plurale può alimentare lo spazio pubblico con i principi e con i valori che poi lo Stato tradurrà in norme, secondo il processo democratico che tiene conto anche delle tradizioni e della identità di un popolo». Silvio Ferrari, docente di Diritto canonico e diritto ecclesiastico all’Università degli Studi di Milano, riflette sul senso della celebrazione dell’Editto, sulle ricadute nella vita di oggi e sull’importanza della visita del patriarca Bartolomeo I.
Dopo 1700 anni perché commemorare l’Editto di Milano?
Il senso fondamentale è che l’Editto è il primo testo che afferma la libertà religiosa in senso moderno, come un diritto che spetta a ogni persona umana.
Quanto è rispettata oggi la libertà religiosa?
La libertà religiosa è un diritto sotto attacco, in certi casi in maniera molto visibile e clamorosa. Penso ai cristiani della Nigeria con le chiese incendiate, oppure alla situazione in India, ma si potrebbero fare esempi anche riguardanti i musulmani o i fedeli di altre religioni. Tuttavia c’è un’altra questione che riguarda il significato che diamo alla libertà religiosa: poter professare e manifestare la fede liberamente senza subire discriminazioni e il fatto che lo Stato e l’organizzazione della società siano fatti in maniera che agevolino la manifestazione della fede in modo tale che questa diventa elemento di costruzione della società civile. Questo secondo profilo talvolta viene negato in maniera un po’ subdola, sottile, non clamorosa, ma semplicemente escludendo il rilievo della religione dallo spazio pubblico.
Infatti, qual è la dimensione della religione nello spazio pubblico in una società, come la definisce il cardinale Scola, «plurale e meticcia»?
Il tema è complesso, perché nell’espressione “spazio pubblico” esistono realtà diverse. “Pubblico” è la strada o la piazza, ma anche la scuola o il tribunale. Non possiamo applicare le stesse regole a questi spazi diversi. Per cui un conto è portare il burqa per strada, un altro in un’aula di tribunale. Nel primo caso è uno spazio comune, nel secondo è uno spazio istituzionale: un giudice che indossi simboli religiosi può anche creare problemi che non esistono invece se cammina per strada.
E la seconda distinzione?
Lo spazio pubblico deve essere aperto ai simboli e alle manifestazioni religiose fino a quando non creano problemi al godimento dello spazio pubblico da parte di tutti. Spesso pensiamo che per assicurare uno spazio pubblico imparziale e uguale per tutti, l’unica strada sia quella di bandire i segni religiosi. Credo che ci sia un’altra via: accettare la presenza di una pluralità di segni religiosi all’interno dello spazio pubblico. In questa maniera lo costruiamo altrettanto imparziale, ma più inclusivo, capace di includere le diversità.
A quale laicità dello Stato e delle istituzioni pensa? Una laicità che diventa indifferenza rispetto alla dimensione religiosa, oppure ne tiene conto?
Per affrontare questo problema dobbiamo sottolineare due aspetti. Il primo è il rapporto tra Stato e società civile. Lo Stato non crea i valori della convivenza, su cui si fonda la coesione sociale, ma li recepisce dalla società civile. Ed essa è tanto più capace di fornire questi valori allo Stato quanto più è plurale. Per esempio, la pluralità delle istituzioni scolastiche è utile per la costruzione di una società civile vitale e quindi lo Stato deve garantirla; oppure la possibilità di organizzare in maniera autonoma la vita interna delle comunità religiose è un altro modo di garantire quella pluralità che serve all’intera società.
La settimana prossima Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, sarà a Milano. La città si ripropone come significativo centro di dialogo ecumenico…
Questo incontro credo sia legato non solo al centenario dell’Editto di Costantino, ma anche alla personalità dell’attuale Arcivescovo di Milano, che ha sempre sottolineato questo profilo del dialogo tra le religioni. D’altronde nell’immagine di una società diversa e plurale che genera questi valori, che poi lo Stato recepisce, un rapporto dialogico, aperto tra le differenti religioni è fondamentale, perché senza di questo le alternative sono o uno Stato laico che esclude tutte le religioni oppure uno Stato confessionale che si identifica con una religione sola.