13 giugno 2009
Lo spreco
l’unzione di Betania – Mc 14,1-9
L’apparizione di una donna nella Bibbia è un indicativo: si tratta d’alleanza. Se poi di fronte c’è un uomo, l’orizzonte di riferimento è dato come chiave di lettura per l’intera Passione: d’alleanza si tratta. Sola "veronica" davvero evangelica, questa donna anonima realizza nei confronti del Gesù della Passione l’heser kenegdo della creazione (Gen 2,20): gli serve da specchio. Fuori metafora potremmo dire: da alterità somigliante e rivelatrice.
– "Perchè (eis ti ) questo spreco di unguento? (v.4)
Nel testo greco la domanda è formulata con gli stessi termini del grido in croce: Mio Dio, mio Dio, perchè (eis ti) mi hai abbandonato? (Mc 15,34) Come questo, è richiesta di senso – quasi di direzione (eis) – in un contesto paradossale. I due perchè? suggeriscono un rapporto di rivelazione reciproca tra lo spreco della donna e la croce di Gesù. Gratuità assoluta, follia dell’amore, eccesso fatale del dono: siamo in quest’ordine, illogico, d’idee.
– Perdita, spreco (v.4): così è definita l’unzione da alcuni presenti. A sua volta Gesù in croce non risponderà alla sollecitazione di salvare se stesso (Mc 15,29-32): e chi non si salva si perde, chi non si risparmia, si spreca.
– Gratuità o calcolo: è un aut aut sembra dirci Marco affiancando l’unzione e il tradimento. Non c’è terza via. Gesù e la donna sono soli a non calcolare, nella massa di "esperti contabili" che va da Giuda a Pietro, da scribi e sacerdoti ai presenti di Betania.
– Il profumo esprime l’irrimediabile dono di sé che è l’amore. Significa che si è oltrepassata la soglia dell’utile e del ragionevole, ma anche del misurabile e del dicibile. Un simbolo che parla insieme di vita, d’amore, di morte.
– Il vaso d’alabastro pieno d’unguento (v. 3) sta tra due aggettivi: genuino (pistikes) e prezioso (polutelos).
Se pistikes significa puro, genuino, per il credente evoca la fede (pistis): il gesto della donna è una confessione di fede. Un ospite di riguardo poteva sì essere accolto con profumi, ma le esagerazioni di Marco – unzione sul capo, prezzo esorbitante dell’unguento – non possono non far pensare all’unzione regale (1Sam 10,1). Non solo con la bocca come Pietro a Cesarea, ma anche con le mani si puo’ proclamare che Gesù è il Cristo, il mashia, l’Unto di Dio.
Polu-telos, è ancora più suggestivo nel contesto della Passione. Telos , termine dai tre significati, ci dice che l’amore è realtà: 1) di gran costo: esigente, dispendiosa; 2) di molto scopo: ricca, vitale, preziosa; 3) legata alla fine, alla morte: fatale, sacrificale, come l’amore fino alla fine (ègapésan eis telos) di Gv 13,1.
Le donne della Pasqua includono la Passione marciana con la loro presenza silenziosa. Qui all’inizio, quasi sigla (Mc14,3-9); nel cuore del dramma, come un richiamo (Mc 15,40-41); alla fine, sigla di un nuovo inizio (Mc 15,47. 16,1-8). Tenue filo, piccolo resto, continuità minima nell’ora della rottura. Prima che nella bocca degli apostoli, l’identità tra Crocifisso e Risorto la troviamo negli occhi delle discepole. Di loro si potrebbe dire cio’ che gli apoftegmi dicono del monaco: sono "tutte occhio". Per 3 volte (15,40.47; 16,4) Marco nota che osservano (theoréo). Ma sono anche "tutte mano" come vediamo nell’unzione. La distanza dello sguardo e il contatto fisico profondo del massaggio profumato, su di un corpo, vivo o morto che sia, Marco (15,41) sembra riassumerli nei due verbi delle discepole: seguire (akoluthéo) e servire(diakonéo) . C’è una cosa che non fanno queste donne: non parlano! Marco (16,8) dirà che, al sepolcro, il terrore e l’ekstasis ne sono la causa. Ma forse già qui: sentirsi superati dal mistero, immenso e vicino, fa perdere la lingua. Perdita non grave se si pensa a cosa sia servito l’averla conservata a Giuda e Pietro, portavoce ufficiali, in quanto apostoli.
Gesù sottolinea con enfasi: in tutto il mondo, cio’ che lei ha fatto si racconterà (v.8). L’amore è Vangelo. Le donne della Pasqua possono non evangelizzare a parole, fanno esse stesse parte del Vangelo. Non annunciano, sono annunciate, sono kerygma.
Marco insiste invece sul fare (poiéo) della donna (v.6.8.9). Facendo la volontà di Dio (Mc3,35), facendo cio’ che possono (v.8) e tutto cio’ che possono fino allo stremo, come la vedova di cui Marco (12,44) dice che ha dato quanto aveva, tutta la propria "vita" , queste donne sono specchio di Cristo e testimoni del suo amore fino alla fine. Nell’impotenza estrema, l’amore trova ancora un gesto, l’ultimo che resta. Ungere un cadavere era roba da donne. Gli uomini preferivano non rendersi impuri a contatto con un morto. Ultimo ingrato servizio ad un corpo, che solo l’amore può trasformare in omaggio regale, in profezia che si ignora di un’impossibile resurrezione. Qui non c’è linguaggio, non ci sono parole (sal 18A,3). Ma l’amore ha occhi e mani: è profeta (uno che vede e solo in coseguenza uno che parla) e poeta (da poiéo, fare), dà senso e vita, rivela e crea. La donna di Betania non capisce. É capita. Spiegando il suo gesto Gesù si spiega, annuncia il kerygma. Intanto lei ama e l’amore forte come la morte (Ct 8,1) è il solo vangelo che sia davvero una buona notizia.
Eco
Vivere d’amore è donare senza misura
senza esigere una ricompensa quaggiù.
Do senza contare perchè sono sicura
che chi ama non calcola più!
Al cuore di Dio, straripante di tenerezza
ho dato tutto e ora corro leggera:
non ho più nulla. La mia sola ricchezza?
Vivere d’amore.
Vivere d’amore è imitare Maria
con le sue lacrime, i profumi preziosi
bagna i tuoi piedi, li bacia estasiata
asciugandoli con i lunghi capelli…
poi si alza e spezza il suo vaso
ecco che unge il tuo dolce volto.
E io, il profumo con cui ungo il tuo viso
è il mio amore.
Vivere d’amore: bizzarra follia! –
mi dice la gente – e smetti di cantare,
non sprecare i tuoi profumi, la tua vita,
non hai nient’altro di utile da fare?
Amare te, Gesù: che spreco fecondo!
i miei profumi sono per te, senza ritorno.
Voglio cantare anche uscendo dal mondo:
muoio d’amore.
(da Thérèse de Lisieux, Oeuvres complètes, poesia Vivre d’amour)
Se consideriamo lo stato attuale del mondo, tutta la vita ( come certamente il cristianesimo ci autorizza), dobbiamo dire dal punto di vista cristiano: l’umanità è malata!.
E se io fossi un medico e qualcuno mi chiedesse: "Che si può fare?" risponderei: "Il primo rimedio, la condizione indispensabile per poter fare qualcosa, quindi la prima cosa da fare é: procura silenzio, introduci il silenzio". Non si riesce più a sentire la parola di Dio: se la si annunzia con mezzi rumorosi, gridandola a squarciagola per coprire il chiasso, non sarà più la parola di Dio. Procura silenzio!. Promuovi il silenzio. (…)
E questo lo può la donna. All’uomo è necessaria una superiorità eccezionale per imporre, con la sua presenza, silenzio ai colleghi: invece qualsiasi donna lo può nel suo ambiente (…)Vuoi tu, donna esercitare il tuo potere? Permettimi che ti indichi il modo: impara il silenzio, imparalo da te! (…) Una cosa, la più importante mancherebbe se dimenticassi di ammobiliare la tua casa di silenzio.
Questo non è nulla di preciso, perchè il silenzio non consiste nel non parlare. No, il silenzio è come l’illuminazione tenue che avvolge una confortevole dimora, come l’affabilità di una stanza modesta: non se ne parla ma c’è ed esercita il suo benefico potere. Il silenzio è come un’atmosfera, l’atmosfera fondamentale in cui ci si immerge. Ma questo silenzio tu non lo puoi introdurre come quando chiami il tappezziere a metterti le tendine. L’ingresso del silenzio dipende dalla tua presenza, dal tuo modo di comportarti in casa (…)
Il silenzio che regna in una casa è la presenza familiare dell’eternità.
Però se tu, donna, devi portare il silenzio in casa, imparalo da te, tu stessa devi insegnarlo agli altri. Tu devi aver cura, trovare il tempo per te, per raccoglierti tu stessa, nell’impressione del sacro. Devi trovare tempo, anche se hai cosî tanto da fare (…)
Una donna che si specchia nello specchio della parola, diventa silenziosa! E se lo diventa, questa è forse l’espressione più forte per dire ch’ella non è un lettore o un uditore smemorato (…)
Tu lo sai bene: se colui che si è innamorato, è diventato loquace, benone!. Ma se si mette in silenzio, è più sicuro.
( da Sören Kierkegaard, Per l’esame di se stessi, in Opere a cura di Cornelio Fabro, Firenze, 1972)